La canzone (moderna) è “tante cose messe insieme”, che diventano un corpus unico, inscindibile. Analizzare le sue componenti è necessario per cercare di capire cos’è una canzone, come eventualmente essa venga scritta, per comprendere se sia davvero necessario lavorare prima sul testo e poi sulla melodia o viceversa.
Se si prova ad analizzare qualche brano di successo si comprende subito che spesso la sua scrittura avviene a più mani, dalla cooperazione di diverse figure professionali, trovandosi, così, di fronte al mestiere del paroliere.
Personalmente penso al paroliere come ad un artigiano capace di scolpire un’immagine con le parole e di imprimerle nella mente di chi ascolta.
Le parole, quelle belle, si scrivono su di una melodia e questa su un’armonia e se tutto funziona ecco che nasce una canzone, che “[…] è più della semplice somma di parole e musica […] perché […] al loro matrimonio musica e parole portano in dote anche le regole dei rispettivi linguaggi”.
Spesso, infatti, si scrivono i testi partendo da una melodia, anche solo accennata.
La canzone, quella bella, è elegante. Un panta rei che si comprende grazie al significato che il testo assume stando sopra a quella specifica melodia e non ad un’altra. E quindi ci si pone una domanda: ma quelle parole, se non fossero affidate al canto, avrebbero lo stesso significato? Enigma e mistero di un’arte sublime e sempre attuale.
La canzone è una forma musicale, una monodia in forma strofica che affonda le sue radici nel Lied. “Nel Lied di Shubert […] troviamo già molti elementi che possono tornarci utili per parlare di canzoni […] come […] la tipica ridondanza musicale: una canzone […] è tale solo se fondata sulla ridondanza. Ogni canzone, cioè, si nutre di qualcosa che ritorna uguale. Quello che cambia, cambia, perché qualcosa ritorni uguale: chi ascolta una canzone se lo aspetta, e non può rimanerne deluso”.
Cos’è, dunque, che torna uguale? Certo il ritornello, parte fondamentale della canzone attorno al quale tutto il resto ruota. Non a caso la struttura tipica della canzone italiana è quella ABAB (strofa, ritornello, strofa, ritornello).
E poi c’è l’elemento psicologico. Per l’ascoltatore la canzone assume un significato ben preciso e lui, l’ascoltatore appunto, si aspetta qualcosa e non vuole assolutamente rimanerne deluso. Ecco perché l’ambito tonale rimane quello preferito per scrivere canzoni, affinché l’ascoltatore “[…] non resti deluso aspettandosi una soluzione armonica che ha già indovinato”. La “[…] canzone esiste per il pubblico che la riconosce”.
La melodia, dicevamo, è sovente la base per scrivere un testo. Ma come si scrive una melodia?Utilizzando un ambito, ricorrendo spesso, come detto, a quello tonale. Si usano gli intervalli, gli stessi che poi useremo per creare quel tappeto armonico sopra il quale scorre la melodia. Ed anche qui c’è un sistema di regole che bisogna conoscere, padroneggiare per centrare l’obiettivo.
E poi c’è la storia. Se è vero che l’intervallo è l’unità grammaticale di base del discorso musicale, è anche vero che avrà una storia: tetracordo, modi, neumi, scrittura musicale, tonalità.
Non manca neanche l’aspetto commerciale. Perché scrivo una melodia? Forse per una pubblicità e se il soggetto della pubblicità evoca potenza ecco che forse conviene utilizzare l’intervallo di ottava…
Che bello però quando le canzoni, quelle belle, rimangono nella storia. Chissà se questo era un obiettivo dell’autore o degli autori di quella canzone, se in qualche modo se l’aspettavano oppure se hanno raccolto il sentire che avevano intorno dando al pubblico ciò che si aspettava.
E cosa si aspetta il pubblico? Per prima cosa i il rispetto. E le canzoni, quelle belle, rispettano il pubblico. Almeno io così credo…
Fabio de Simone
Bibliografia
S. Lenzi, Per il verso giusto, Piccola anatomia della canzone, Venezia, 2017
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